“The smartest digital marketing conference in Europe”, così si definisce The Inbounder, alla seconda edizione. Sono appena rientrata da due giorni in una Madrid estiva e bella carica, ho imparato tanto e ascoltato speaker eccezionali.
Qui distillo 3 temi che sono emersi in più presentazioni e che per me sono stati i più interessanti e utili. E 2 speech per ogni tema, che vi consiglio di approfondire. Sull’account Slideshare di We Are Marketing, l’agenzia che insieme a Gianluca Fiorelli organizza The Inbounder, trovate (quasi) tutte le presentazioni. Vamos!
L’evoluzione del marketing
Ashley Friedlein, fondatore di Econsultancy, ha fatto una panoramica sull’evoluzione dei modelli di marketing per arrivare a oggi e alla necessità di cambiare e integrare sempre di più marketing digitale e marketing tradizionale. Questo richiede un nuovo framework per definire le strategie che devono essere chiaramente integrate, una serie di soluzioni organizzative e competenze specifiche.
Il quadro è quello del Modern Marketing Model (M3 Marketing Model sviluppato da Econsultancy; quanto ci piacciono i framework e le metodologie!). Un paio di passaggi chiave:
- in un contesto di marketing integrato, il marketing digitale è tattiche più che strategie; ma le tattiche possono e anzi devono influenzare le strategie
- se sei digital marketing manager e non ampli le tue competenze al resto del marketing, prima o poi arriverai a uno stop alla carriera in azienda; se sei un marketing manager tradizionale e non evolvi al digitale, probabilmente non avrai più un lavoro.
–> The M3 (Modern Marketing Model) – the new model for marketing
Joanna Lord di ClassPass ha parlato invece delle caratteristiche di un marketing team di successo.
Spoiler: non esiste la struttura di marketing ideale per tutte le aziende e lungo tutta la vita della stessa azienda. Dipende dagli obiettivi principali da raggiungere, il team è costituito e organizzato di conseguenza. Joanna ha fatto l’esempio della sua attuale azienda: in fase di lancio aveva un intero team dedicato solo all’acquisizione di nuovi clienti perché l’obiettivo vitale era acquisire velocemente quote di mercato, prima dei tanti servizi simili che stavano arrivando.
Per tutti la regola però è: cambiare rapidamente (“organizzazione elastica”) quando cambiano gli obiettivi principali. Per questo servono persone T-Shaped, ovvero: 1 competenza verticale molto forte (la gamba della T) e competenze orizzontali, visione d’insieme su tutto il resto. Questo permette velocità nel cambiamento, team flessibili e risorse intercambiabili.
–> What makes a great marketing team
L’evoluzione della search
Gianluca Fiorelli, veterano del search marketing e vera anima di The Inbounder, ha aperto la prima giornata con un intervento densissimo su ricerca visuale e per immagini.
Cominciamo con una buona notizia: quando parliamo di ricerca per immagini le pratiche di ottimizzazione SEO tradizionali sono ancora valide. Quindi massima attenzione a nomi file, alt tag, descrizioni, didascalie, testo attorno all’immagine, la sitemap per immagini, la marcatura secondo il protocollo schema.org per dare più informazioni possibili a Google e agevolare l’esposizione di risultati ricchi di informazioni preziose, già nella SERP.
A questo si aggiunge una crescente importanza della qualità delle immagini e della loro ottimizzazione (dimensioni, proporzioni, ecc). Tutto questo funziona soprattutto nella ricerca visuale (quando cerco usando un’immagine e non una parola chiave, per capirci). Vedi l’analisi automatica del contenuto delle immagini via Google Cloud Vision.
A proposito di ricerca visuale (che è un concetto diverso da quello di ricerca per immagini usando una parola chiave, ripeto), Gianluca ha parlato di Pinterest Lens, di come funziona il suo algoritmo di riconoscimento delle immagini e di come Pinterest sia ancora poco considerato, anche da aziende che operano in settori che invece troverebbero su Pinterest molte persone attive. Tutti i dettagli nelle slide che linko qui sotto. Un’azione da fare subito: attivate i rich pins.
–>Imago Mundi – The Present and Future of Visual Search and Marketing
Cindy Krum di MobileMoxi, veterana dell’ottimizzazione per la ricerca da mobile (“Quando ho cominciato ottimizzavo per Blackberry”), ha parlato di come sfruttare al massimo la ricerca da mobile. E soprattutto dell’evoluzione prossima, secondo lei, del funzionamento di Google per le ricerche da dispositivi mobili:
- primo, la ricerca da smartphone prevede comportamenti diversi da parte delle persone. E sempre di più la risposta che cerchiamo è disponibile direttamente nella pagina dei risultati. Non è, insomma, una URL su cui cliccare bensì una risposta composta da un testo e immagini nella cosiddetta posizione zero, da una mappa, da una curated collection (cercate Monty Python da smartphone, per esempio). Zero-click search
- mobile search non è solo ricerca da smartphone e non è solo siti, qui sta il vero nocciolo del “mobile-first indexing”. Sempre di più la ricerca avverrà dispositivi che sono Assistenti Virtuali (Google Home, Alexa di Amazon, ecc), da orologi, altri dispositivi connessi e che ci circondano e ci circonderanno sempre di più. E qui un link su cui cliccare non è certo la risposta migliore, semplicemente perché non abbiamo a disposizione uno schermo, per esempio
- dunque secondo Cindy si passerà da ricerca per parole chiave con una serie di URL come risposta, a Google che ci propone un indexing per entità. Concetto bello spesso, quelle delle entità. Le entità sono idee universali, concetti che stanno sopra alle parole chiave, vengono prima (da linguista mi sono tornati in mente Significato e Significante di De Saussure ma devo verificare). Quindi troveremo sempre di più risultati di ricerca che Cindy ha definito “non –domain entity content”
- e ancora, molta parte della ricerca da mobile è ricerca vocale. Nella ricerca vocale non abbiamo più bisogno di una URL, anzi (questa considerazione è uscita in diversi speech). Deep search nella app, risultati dal Knowledge Graph di Google. Serve una pagina web per rispondere alla domanda “Quali hotel 4 stelle ci sono vicino alla Fiera di Madrid?” Non necessariamente. La risposta potrebbe uscire dalla app di Booking che ho installato sul mio smartphone, da Google Maps, ecc. e mi viene fornita da un Assistente virtuale. Niente click.
Conversion Rate Optimization (CRO)
Peep Laja di ConversionXL (se non li conoscete e vi interessa il tema della CRO, loro davvero spaccano). Ci sono dei pattern, dei comportamenti ricorrenti che emergono da decine e decine di progetti di ottimizzazione che ConversionXL segue? Sì, ci sono. Per esempio, la divisione di un form lungo in un form in più step successivi o l’esposizione dei tempi di consegna già nelle schede prodotto, nel caso di alcuni e-commerce. Dunque basta seguire questi pattern per avere successo? No! La prima cosa da fare naturalmente è conoscere le best practice. Poi analizzare, raccogliere dati, fare interviste: capire che cosa serve e interessa davvero alle persone a cui ci rivolgiamo, qual è il contesto, quali sono i comportamenti ricorrenti per QUEL settore.
A Peep va la palma d’oro per lo speaker meglio vestito 🙂 e anche un premio per l’affermazione: “Applicare le best practice non è ottimizzare. È la base!” Insomma, non nascondere il bottone con l’azione di conversione principale in mezzo a cinque banner è una best practice, è l’abc. Parliamo di CRO quando lavoriamo, per esempio, per migliorare il copy o il design di quel bottone.
Such great presentation and good performed by @peeplaja #theinbounder the best practice is not rely on best practices (absolutely agree) pic.twitter.com/tXbmsWnGHY
— Guiomar Gonzalez (@guiogl) 26 aprile 2018
–>Repeteable patterns in conversion rate optimization?
Oli Gardner di Unbounce ha dato una tonnellata di indicazioni su come costruire una landing page che funziona. Con dati, evidenze e test che arrivano dalle migliaia di landing pages costruite ogni giorno con Unbounce. Da guardare bene tutti gli gli esempi.
Oli vince invece il premio simpatia: ha strappato un applauso in mezzo allo speech, è stato coinvolgente, chiaro, efficace.
–>Using 1.000.000 little pieces of data + design to reverse engineer the perfect landing page
E poi?
Menzione speciale a uno degli interventi che mi è piaciuto di più, quello sul brand content di Melanie Deziel, ora consulente e docente e in precedenza parte del team di brand content del New York Times, per dirne una. Partendo dall’acronimo TRUTH ha descritto 5 caratteristiche di un contenuto brandizzato che funziona. Una tassonomia preziosa, frutto di anni di esperienza diretta. Ha raccontato per esempio come è andata quando, mentre era al New York Times, ha costruito lo speciale sulle donne americane in carcere, sponsorizzato da Netflix per il lancio della serie “Orange is the New Black” e il racconto del dietro le quinte è stato molto coinvolgente.
P.S. Messaggio per gli organizzatori di conferenze in Italia: nei 2 giorni ci sono state sul palco decine di speaker donne, tra cui la nostra super Valentina Falcinelli. Una buona notizia: si può fare.
Elsa
Grazie Miriam per il post denso di tante informazioni utilissime!
Giovanni.
Complimenti!